Borderline Cechov

19-20 maggio 2010 – Teatro delle Passioni (Mo)
BORDERLINE CECHOV (riduzione violenta nel suo anniversario)
Laboratorio Venturi 2009/10 – Ludovico Van Teatro – Istituto d’arte Venturi

Locandina Borderline

Direzione e Adattamento – Daniele Paganelli
Progetto grafico – Marco Aravecchia e Enrico Buffa
Coordinamento – Prof.ssa Rovacchi Anna
Luci – D. Paganelli & LudovicoVanTeatro
Scenografia Video – L.S. Frida, D. Pancetti. Coordinamento video – Prof. A. Battilani
Musiche – Portishead, Chopin, Gaetano, Sigur ros, Mogwai, S. Walker
Interpreti (in ordine alfabetico) – F. Abban, M. Aravecchia, L. Baraldi, E. Buffa, L. De Zorzi Poggioli, M.V. Ferrari, A. Forghieri, M. Lancellotti, V. Malaguti, A. Minghetti, D. Persico, C. Pigoni, M. Pia, F. Taccini, C. Vignudelli.
Foto di scena – Silvia Marchi, Marta Kurzeder

 

RECENSIONI E LETTURE CRITICHE

di Ilaria Galli (DANZATRICE e Account) – “Nina, Mascia e Agata”
La prima volta che l’ho letto sono rimasta perplessa. Perché si uccide Kostia?
Perché, malgrado le soddisfazioni della scrittura, la vita continua a negargli il sollievo di un amore che solo potrebbe distrarlo dalla mancanza di senso che è il destino di tutti. “La vita non ha senso, e non ci posso fare nulla”: brutto punto di arrivo per Kostia; ottimo punto di partenza per chi vuole farne un punto di partenza. Secondo me nel 2010 ormai bisognerebbe farne un punto di partenza, e mi sembra che voi l’abbiate fatto, parlando del desiderio di reazione, delle radici dell’amore, della giocosità del destino. E perché invece Masha non si uccide? Magari perché ha una madre che le vuole bene, e a cui lei non vuole dare un dispiacere. Non saprei. Kostia in effetti ha una madre terribile; inoltre si innamora di una ragazza che lo sprezza e che si è fissata di voler diventare attrice e frequentare il gran mondo. Ma Nina non è narcisista come l’Arkadina, perciò alla fine si innamora di un uomo e lo scambia per il teatro, oppure si innamora del teatro e lo scambia per un uomo. Trovo che questo sia molto comprensibile; cioè che il teatro possa essere l’amore per un uomo, così come la vita può essere l’amore per un uomo. Poi però ognuno ha il suo modo di vedere l’amore, il teatro e anche la vita. E i modi di solito coincidono. Per esempio, nel vostro spettacolo ognuno era un personaggio diverso (anche i doppi di uno stesso personaggio erano in realtà diversi), che però stava dentro una rete di relazioni con altri personaggi con i quali doveva interagire per far marciare la macchina della messa in scena, come degli ingranaggi; se uno si inceppa rischia di incepparsi tutto, affinché tutto fili liscio ognuno deve fare il suo dovere e qualcosa di più: deve correre ai ripari se qualcosa va storto, colmare i vuoti che si sono creati, creare vuoti che gli altri possano riempire, e così via. Questo è un modo di vedere il teatro (non il solo), ed è un modo di vedere la vita, e anche un modo di vedere l’amore. Io lo condivido. Credo che da soli non si vada da nessuna parte. Secondo me Kostia vorrebbe non essere solo, e anche Nina. Ma falliscono, non si incontrano mai. Di questi fallimenti abbiamo esperienza tutti, di solito sono i ricordi più amari. Però capita di incontrarsi, e allora l’ingranaggio prende vita, e il movimento che ne scaturisce ti supera.
Ci sono delle volte che il pensiero di essere un ingranaggio mi rende felice; altre volte invece mi rende triste perché, come Kostia, vorrei essere anche l’artefice oltre che la pedina, vorrei che la fantasia diventasse realtà, non riesco ad accettare che essa sia solo illusione e domande senza risposta. Io ho 27 anni. Una domenica ero a pranzo con degli amici che hanno già dei bimbi piccoli, e guardandoli pensavo che i bambini sono solo altri esseri umani, identici a noi, infelici come noi, piccoli come noi, e non riuscivo a provare quella gioia spontanea che spesso i bambini ispirano. “Mamma o non mamma?”. Bella domanda. E di chi? Di un altro stupido ingranaggio identico a me; o di un’altra bestiolina. Quel giorno seduta di fronte a me si è seduta Agata, che ha 2 anni e mezzo, e di fianco ad Agata c’era sua madre. A un certo punto il papà di Agata, che era seduto lontano, si è alzato, si è avvicinato a noi e l’ha salutata. Gli occhi di Agata si sono illuminati di gioia, ha risposto a suo padre e gli ha sorriso di rimando tutto quello che provava per lui. Ed era un’altra. Non era più uno stupido ingranaggio, né una bestiolina. Era una persona; pronta a vivere solo per quel sorriso; pronta a salire su un palco e raccontare la sua storia. Un soggetto per un breve racconto.

di Riccardo Palmieri (REGISTA professionista e pedagogo) “Prove di Analisi scenica”
(confronto con il direttore D. Paganelli e il Lab. Venturi)
«Bisogna strapparsi questo amare dal petto. Con forza. Con tenacia.Bisogna strappare tutto. Far si che non ricresca nulla. Cospargere di sale e cenere.»
Così è giusto, citando il vostro testo, che:
«Medvedenko ami Mascia
che Mascia ami Kostia,
che Kostia ami Nina,
che Nina ami Trigorin
e che Trigorin ami pescare.»
Trovo giusto il lavoro di riscrittura di un testo già scritto per il teatro. Ne trovo corretta l’impostazione e la messa in scena. Trovo altresì corretta – in linea di massima – l’analisi relativa alla linea dell’amore come metafora dell’ispirazione e dell’appartenenza al mondo artistico. L’inizio in cui gridando si dichiara l’inutilità del sentimento ridicolizzandone effetti e conseguenze è estremamente corretta.
Cechov propone con il gabbiano un manifesto per il nuovo teatro. Un teatro che possa in un qualche modo unire poiché tutti (gli artisti) attingiamo ad una comune anima del mondo, ad una comune dimensione del pensiero d’arte. Non rimane dunque nessuno spazio per amore e sentimenti, psicodrammi ed emotività. Il teatro di Kostia/pioniere attinge alla metafisica, alle idee e rappresenta la vita NON come è o dovrebbe essere, ma come la vediamo nei sogni.
In questa astrazione, la tua scrittura per la scena porta alla luce il desiderio, la brama, la fame (scriverebbe Sarah Kane: the crave), per il teatro, per il poter appartenere a quel mondo, a quell’universo.
L’altro, l’altra non è altro che specchio o tramite per l’appagare questa brama. Questo desiderare incolmabile.
Incolmabile come il vuoto e il silenzio che abitano il corpo di kostia metafora vivente del lago che da quieto (primo atto) muta in tempestoso (quarto atto) e shakespiriano sfondo alle vicende.
Giusta la soluzione di usare lo strumento del monologo al posto del dialogo. Cioè trasformare il pubblico nel ricettacolo di confessioni e dialoghi sospesi. In Cechov infatti l’esperienza dialogica è a parabola. Nessuna domanda trova risposta immediata, ma solo dopo lunghi tempi scenici e drammaturgici, esempio:
I atto prima scena
Medvedenko:- perché veste sempre di nero?
Trova la corretta risposta nel IV atto, finale:
Dorn:- Kostantin Trepliév si è ucciso/sparato.
Era estremamente funzionale nella tua scrittura scenica la posizione dell’attore nel gioco teatrale dello specchio rovesciato tra pubblico e partner sulla scena.
Giuste dunque, in generale, le scelte di regia e drammaturgiche compresa la pausa in attesa del teatro nel teatro con quella strana danza, quei pensieri vaganti.
Vengo alle note “negative”.
Nel recitato degli allievi non entro, perché credo sia ingiusto da parte di un occhio esterno porre critiche ed affermazioni dettate inevitabilmente da ignoranza e superficialità.
Non manco però di complimentarmi con l’attrice che faceva Mascia (Monica Pia) e di alcuni altri che ho apprezzato.
In generale la loro posizione però non era totalmente corretta. Sottolineo che parlo del mio punto di vista. Senza sapere però cosa stavi cercando tu. Quindi perdona se vado fuori tema. Mi riferisco alla posizione fra attore e testo. Mentre la proposta registica era corretta la proposta attorale era troppo spesso lontana dall’assunzione del rischio creativo dal vivo generando così una sensazione di troppa artificiosità.
I ragazzi andavano troppo meccanici alle loro “mansioni” che risultavano appunto tali e non azioni spontanee o moti dell’anima o creazioni. Sempre collegato a questo il problema dell’essere vivi sulla scena sempre e comunque si rivela annosa e totalitaria (in tutti i teatri) questione.
E’ vero, sono studenti del Venturi e non attori o allievi attori, ma allo stesso tempo trovo utile parlare tecnicamente di cose concrete e non limitarmi a dire bravi o che carini sulla scena. La posizione nei confronti del testo e l’attitudine alla posizione attiva sulla scena favoriscono lo sblocco dell’energia nell’agito scenico.
Cioè danno forza e potenza alle immagini strutturali che tu proponi o che loro propongono sulla scena. Una volta ottenuto questo si ha il vero salto del materiale umano a disposizione. Alcuni lo fanno naturalmente, altri lo scoprono, altri ancora lo imparano. Fatto è che tutto il gruppo o ensamble dovrebbe averlo.
Le musiche erano giuste (non tutte di mio gusto ma giuste), anche la qualità del movimento che loro proponevano era giusta anche se poco aderente al tema. Probabilmente anche in questo caso dettata da poca esperienza… Vale anche il discorso del non sapere come comunicare al di fuori del proprio intimo… una sensazione, un pensiero, un’emozione. Qui entri in gioco tu che devi codificare al meglio la loro proposta. Mantenendola comunque viva e non solo ripetitiva.
Le immagini video non erano necessarie. Non davano valore aggiunto. E risultavano in più. Qualche problema di ritmo dovuto un po’ alla struttura, le transizioni un po’ deboli – alle volte pretestuose – e alla poca energia vitale dell’interprete portava un po’ fuori ma non in modo grave.
Il finale è risultato un po’ più debole della penultima scena che era già un finale. Il rischio diventa quello di reiterare troppo e trascinare qualcosa che dovrebbe concludersi nettamente, con un colpo di pistola.
Ovviamente sono conscio del fatto che il lavoro dei ragazzi fosse condizionato dal tuo modo e dalle sempre poche ore di lavoro quindi prendi con le molle tutto ciò che ti ho scritto. Penso anche che siano cose che già sai…
Nel complesso ho trovato un lavoro decisamente intelligente, sensuale e seducente che apre uno sguardo sull’idea del teatro e dell’amore per esso. Le critiche sono solo tecnicismi, fanne ciò che vuoi.

di Simona Iannone (CANTANTE) – “La notte stessa dopo la prima”
(confronto con il direttore D. Paganelli; commento scritto di getto la notte dopo lo spettacolo).
Anche quest’anno hai saputo sfruttare al meglio le tue risorse. Alcuni soggetti molto interessanti, talvolta con un uso del corpo invidiabile e con una buona capacità interpretativa. Immagini forti, i personaggi mi sono sembrati chiari (forse perchè conoscevo bene il testo, perciò pesa la mia affermazione) così come la trama. Mi è piaciuta tantissimo sia la scena finale, estremamente simbolica, il lago che diviene la tomba di Kostja… geniale la resa del suicidio…e i momenti in cui avanzavano insieme con le sedie o quando seduti eseguivano i loro movimenti personali sono stati molto forti.
La cosa che mi è piaciuta di più è stata l’estrema personalizzazione del contenuto, lo ha reso moderno, sebbene il tema del “male di vivere” sia sempre attuale. Hai saputo creare originalità grazie ai messaggi lanciati in modo sottile. Era significativo vedere un messaggio profondo come quello che volevi trasmettere interpretato da dei ragazzi, così giovani… quello che mi è passato è stato un loro forte coinvolgimento e impegno in ciò che stavano facendo e questo mi ha tremendamente emozionato. E’ stato toccante vedere la loro sensibilità sulla scena, era mescolata alla purezza, quella purezza che gli adulti non hanno.
E’ soprattutto confortante pensare che ci siano dei giovani che investono nel teatro e non solo nello shopping o nell’aperitivo del sabato pomeriggio, dei giovani che non vogliono diventare delle veline, ma che sono qualcosa di più e decidono di comunicarlo.

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